Prime Esperienze
Sotto il grembiule – La cameriera di Cantù


14.05.2025 |
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"Mi guardava mentre lo prendeva tutto..."
PrefazioneNon era il bar. Non era il caffè. Non era nemmeno quel tavolino traballante dove sedevo ogni mattina.
Era lei.
Una cameriera giovane, appena maggiorenne, con lo sguardo sporco e la camminata che ti fotteva il respiro.
E da quel primo giorno a Cantù, niente fu più banale.
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Il primo giro – Il parcheggio
La vedevo ogni mattina. Grembiule nero, jeans attillati, maglietta stretta e sorriso bastardo. Sapeva come camminare. Come guardarti. Come farsi guardare.
Una mattina si avvicinò al mio tavolo.
«Sempre da solo?»
«Non è un posto per due, questo.»
Mi guardò negli occhi. «Magari un giorno ti faccio compagnia io. Quando finisco il turno.»
E quella sera uscì dal retro. Jeans, giubbotto corto, capelli sciolti. Salì in macchina come se l’avesse fatto mille volte.
Mi toccò la coscia. Sorrise.
«Portami dove non si vedono le stelle. Voglio perdermi.»
Parcheggiammo dietro una palestra abbandonata. Lei si spostò sopra di me e mi baciò con foga. La sua lingua calda, le mani sotto la mia maglia, il respiro che bruciava.
Poi si alzò, si chinò in avanti, e mi mostrò il suo lato B: nudo, teso, perfetto. Un culo che ti faceva dimenticare ogni morale.
«Prendimi da dietro. Come vuoi. Ma fallo adesso.»
E io lo feci. Forte. In fondo. Senza ritegno. Le sue unghie sulle pareti dell’auto. Le sue gambe che tremavano. I suoi gemiti che mi scoppiavano nell’orecchio.
Venni dentro di lei, con la bocca sul suo collo e le mani strette sui suoi fianchi sodi.
Lei si rivestì piano, con un ultimo sguardo.
«La prossima volta, voglio anche il tuo. Il tuo culo.»
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Il secondo giro – Il magazzino
Tre giorni di silenzio. Poi, di nuovo il suo sguardo dietro il bancone.
«Stasera chiudo io. Se riesci ad aspettare…»
Alle 23:48 ero lì. Il bar spento. Le serrande abbassate. Lei mi aprì dal retro. Mi spinse nel magazzino. Mi baciò con rabbia. Poi scese. Mi sbottonò i jeans.
«Zitto. Lascia fare a me.»
E iniziò. Un pompino da manuale. Profondo. Umido. Violento. Mi guardava mentre lo prendeva tutto. Si fermava solo per sorridere, poi tornava a inghiottirmi. Mi leccava, mi succhiava, mi faceva impazzire.
«Adesso girati. Voglio anche il tuo.»
Mi voltò. Mi abbassò i pantaloni. Mi esplorò con dita, bocca, voce. Io tremavo. Lei dominava. Mi prendeva. Mi faceva suo.
Poi si girò di nuovo e si sporse sul tavolo.
«Ora, di nuovo. Dentro. Nel mio culo. Come la prima volta, ma più forte.»
E io glielo diedi. Le mani sui suoi fianchi, il mio ventre contro il suo lato B. Lei gemeva, urlava, si voltava.
«Spingimi. Sfonda. GODO!»
E venne. Ancora. E ancora. E io con lei.
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Il terzo giro – La figa bagnata
Un biglietto. Dentro il cucchiaino del caffè.
“Dopo l’una. Solo tu. E voglia di farmi gocciolare.”
Ore 01:12. Il bar era chiuso. Entrai dal retro.
Lei era nuda, seduta sul tavolo del magazzino, gambe aperte. La sua figa brillava, pulsava, grondava.
«Leccami. Fammi urlare. Voglio venirti in faccia.»
Mi inginocchiai. La mia bocca sulla sua figa bagnata.
Le sue labbra gonfie. Il sapore forte. Le sue cosce che mi stringevano.
«Sì… così… fammelo… succhiala… succhiala tutta…»
Tremava. Mi graffiava. Veniva. Mi venne in bocca. Più volte.
Poi si sedette sopra di me.
«Adesso scopami. La voglio tutta. Mi brucia. Fammi svenire.»
E la presi. Dentro. Forte. La sua figa mi stringeva, mi avvolgeva, mi comandava. Era una fontana calda e viva.
La sua pelle era fuoco. I suoi gemiti, un’ossessione.
Ci venimmo insieme. Sporchi. Attorcigliati. Esausti.
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Epilogo
Stesi a terra. Nudi. Lei con la testa sul mio petto.
«Ammettilo. Il mio culo. La mia bocca. E la mia figa… sono tutto quello che cercavi.»
«Lo ammetto.»
Si alzò, si rivestì, poi tornò a baciarmi.
«E ora lo sai… non potrai più vivere senza. Ti ho fregato. Sei mio.»
E aveva ragione.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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